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Revision as of 08:29, 4 November 2008 by FrancescoPerilli (Talk | contribs)
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All’inizio di questa settimana stavo parlando con un mio carissimo amico che stava passando un brutto periodo segnato da delusioni, scoraggiamenti, trattamenti ingiusti e falsi pettegolezzi sul suo carattere e sulla sua opera cristiana. Rimasi commosso e colpito dalla sua reazione: “La mia più grande consolazione è semplicemente questa” disse, “Certo, la pietà è un grande guadagno, congiunta però a moderazione!” (1 Tim. 6:6).”

Una tale reazione alle avversità (che è il contesto in cui la soddisfazione cristiana viene sia messa alla prova che manifestata) non è mai il risultato della decisione transitoria della volontà, e non è neanche prodotta lontanamente dal possedere un piano di gestione della vita e del tempo ben ordinato, ragionato e calcolato per proteggerci dagli eventi della divina provvidenza. Significa semplicemente essere soddisfatti della volontà del Signore in ogni aspetto della Sua provvidenza. È, quindi legato a chi siamo noi, in ogni nostro essere; non può essere portato a compimento semplicemente dal fare di più. 


Fare ed essere

La soddisfazione è una grazia sottovalutata. Come nel diciassettesimo secolo quando Jeremiah Burroughs scrisse il suo capolavoro su questo tema, così oggi esso rimane “La Gemma Rara”. Se si potesse produrre con mezzi di programmazione (“I cinque passi per raggiungere la soddisfazione in un mese”), esso diventerebbe banale. Invece, i Cristiani devono scoprire la soddisfazione alla vecchia maniera: dobbiamo impararla.

Quindi, non possiamo “fare” la soddisfazione Ci è stata insegnata da Dio; ci ha istruito per questo. Fa parte del processo di trasformazione attraverso il rinnovamento del modo di pensare (Rom. 12:1-2). È comandato da noi, ma, paradossalmente, è fatto a noi, non da noi. Non è il prodotto di una serie di azioni, ma di un carattere rinnovato e trasformato. Soltanto buoni alberi danno buoni frutti.

Pochi principi sembrano essere più difficili da comprendere per i Cristiani contemporanei. Delle direttive chiare per vivere in modo cristiano sono essenziali per noi. Ma, tristemente, molta della pesante corrente programmatica di insegnamento nell’evangelicalismo pone una ricompensa tale nel fare e nel raggiungere esteriormente che lo sviluppo del carattere viene quasi messo in saldo. I cristiani negli Stati Uniti, in particolare, devono accorgersi che vivono nella società più pragmatica della terra (se qualcuno può "farlo", anche noi possiamo). È doloroso per l’orgoglio scoprire che la vita cristiana non pone le sue basi su ciò che possiamo fare, bensì su ciò che abbiamo bisogno che sia fatto a noi.

Alcuni anni fa, feci un doloroso incontro con la mentalità del “dicci cosa fare, e lo faremo”. A metà di una conferenza di studenti cristiani, fui chiamato a presiedere un incontro con una loro delegazione poiché sentivano l’esigenza di confrontarsi con me a proposito dell’inadeguatezza di due mie esposizioni sulle Scritture. Il tema dato era Conoscere Cristo. “Ci ha parlato per due ore”, si lamentavano “e ancora non ci ha detto una singola cosa che possiamo fare”. L’impazienza di fare nascose l’impazienza con il principio apostolico secondo cui è soltanto conoscendo Cristo che noi possiamo fare tutte le cose (cf. Fil. 3:10; 4:13).

Come si applica tutto questo alla soddisfazione, il tema chiave di Tabletalk di questo mese?

La soddisfazione cristiana significa che la mia soddisfazione è indipendente dalle circostanze. Quando Paolo parla della sua propria soddisfazione in Filippesi 4:11, egli usa un termine molto comune nelle antiche scuole filosofiche greche degli Stoici e dei Cinici. Nel loro vocabolario, soddisfazione significava autosufficienza, nel senso di indipendenza dalle circostanze in divenire.

Ma per Paolo il termine soddisfazione ha le sue radici, non nell’autosufficienza, ma nel sostentamento che è Cristo. (Fil. 4:13). Paolo diceva che avrebbe potuto fare ogni cosa in Cristo sia che fosse stato umiliato o ricco. Non saltate quest’ultima frase. È precisamente questa l’unione con Cristo e la scoperta della Sua adeguatezza che noi non possiamo avviare con le decisioni del momento. È il frutto di una relazione con Lui che è continua, intima e profondamente sviluppata.

Usando le parole di Paolo, la soddisfazione è qualcosa che dobbiamo imparare. E qui c’è la chiave di volta di tutto il discorso: come impariamo a essere soddisfatti? Ci dobbiamo iscrivere alla scuola divina in cui veniamo istruiti su insegnamenti biblici ed esperienza della provvidenza.
Un buon esempio delle lezioni di questa scuola si trova nel Salmo 131.


Un Esempio Biblico

Nel Salmo 131, Re Davide fornisce una vivida descrizione di ciò che significa per lui, imparare la soddisfazione. Egli descrive la sua esperienza portando l’esempio di un bambino svezzato che dalla sua dieta a base di latte passa al cibo solido: “Io ho l’anima mia distesa e tranquilla, come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia” (Sai. 131:2).

Immaginate la scena e ascoltate il suo suono. Essa risulterà ancora più vivida se ricordate che ai tempi del Vecchio Testamento lo svezzamento a volte non aveva luogo finché il bambino non aveva raggiunto l'età di tre o quattro anni! È abbastanza difficile per una madre affrontare i pianti di un bambino scontento, il rifiuto del cibo solido e la lotta durante il periodo di svezzamento. Immaginate che battaglia con un bambino di quattro anni! Questa è la misura della lotta a cui è andato incontro David prima di imparare la soddisfazione.


Due Grandi Problemi

Ma qual era il significato di questa lotta? David ci aiuta ancora suggerendoci due grandi problemi che andavano affrontati nel corso della sua vita.

“Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo” (Sai. 131:1 NIV). Egli non vuole dire che quell’ambizione in se stessa e in lui sia necessariamente sbagliata. Dopotutto, lui stesso si era messo in luce come successore al trono (1 Sam. 16:12-13). Ma egli aveva un’ambizione più grande: avere fiducia nella saggia opera di Dio.

Ricordate le occasioni in cui lui avrebbe potuto impadronirsi del trono e del potere con mezzi che avrebbero compromesso il suo impegno con il Signore? Primo, Saul entrò proprio nella grotta in cui David e i suoi uomini si stavano nascondendo (1 Sam. 24:6). Poi, David e Abishai strisciarono nella tenda di Saul e lo trovarono addormentato (1 Sam. 26:9-11). Ma nel frattempo, egli era soddisfatto di vivere secondo le leggi di Dio, e di aspettare pazientemente i Suoi giorni.

La soddisfazione Cristiana, quindi, è il frutto diretto di avere come ambizione più grande quella di appartenere al Signore e di essere totalmente a Sua disposizione, nel luogo che Lui decide, al tempo che Lui sceglie e nel modo a cui Lui fa più piacere.

È stato con matura saggezza, allora, che il giovane Robert Murray M’Cheyne scrisse, “La mia ambizione è sempre stata quella di non avere piani per me stesso”. “Che strano!” diremmo. Sì, ma ciò che le persone notavano in M’Cheyne era che non era tanto strano ciò che diceva o faceva – bensì era il suo modo di essere. Che, a sua volta, è il risultato dell'essere soddisfatto di una grande ambizione: “Che io possa conoscere Cristo” (Fil. 3:10). Non è casuale che, quando facciamo di Cristo la nostra ambizione, scopriamo che egli diviene il nostro sostentamento e impariamo la soddisfazione in ogni e tutte le circostanze.

“Non vado in cerca di cose grandi. . . superiori alle mie forze” (Sai. 131:1 NIV). La soddisfazione è il frutto di uno stato mentale di consapevolezza dei propri limiti.

David non permetteva a sé stesso di preoccuparsi di ciò che Dio non aveva piacere di concedergli, e non permetteva neanche alla sua mente di fissarsi su cose che Dio non aveva piacere di spiegargli.

Quelle preoccupazioni soffocavano la sua soddisfazione. Se insisto nel voler conoscere esattamente ciò che Dio sta facendo nelle mie circostanze e ciò che Egli sta pianificando per il mio futuro, se pretendo di capire le Sue vie nel mio passato, non sarò mai soddisfatto, alla fine, finché non sarò diventato uguale a Dio. Quanto siamo lenti nel riconoscere in queste sottili tentazioni mentali il sibilo del serpente dell’Eden che riecheggia, “Esprimi la tua insoddisfazione verso il comportamento di Dio, le Sue parole e le Sue azioni”.

Nella nostra tradizione agostiniana, si è spesso detto che il primo peccato è stato quello della superbia. Ma la cosa è un po’ più complessa; essa include anche insoddisfazione. Quando vediamo le cose sotto quella luce, riconosciamo quanto uno spirito insoddisfatto sia contro Dio.

Tenete a mente questi due principi e riuscirete facilmente a fuggire da questo vortice di insoddisfazione. Tornate nella scuola in cui farete progressi nel vostro essere cristiani. Studiate le vostre lezioni, ponetevi delle ambizioni, rendete Cristo la vostra preoccupazione, e imparerete a godere dei privilegi dell’essere veramente soddisfatti.

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